6.2.13

Lilith e Eva e

I pranzi con Rossella sono sempre felicevolissimi.
La nostra bottiglia di prosecco, i piatti di tagliatelle culaccia e peperoncino al Tagiura (dice lei, che fa l'uomo, al cameriere: mi raccomando, abbondanti di pasta e di sugo, come sempre. E tutti gli uomini dei tavoli intorno che si girano verso di noi pentiti di non averli scelti, scusa per attaccare bottone all'asola della nostra felicità), le chiacchiere di figli e mariti.
Lei così forte sempre e io che mi vedo così fragile.
La ascolto rapita e poi le racconto della riunione a scuola di ieri sera e di una violenza esplosa, ingiustificata e -abile.
Le dico: avrei voluto intervenire ma avevo paura di scoppiare a piangere.

E mentre lo dico penso: che cosa le ho detto.
E invece lei raccoglie il piangere dal tavolo, mentre io lo sto sotterrando con il tovagliolo e dice: come ti capisco. E mentre lo dice, per la prima volta da quando la conosco le vedo nelle lacrime negli occhi, lacrime che restano per tutto il resto del pranzo.

A volte abbiamo una tessera di domino che - se nessuno ci attacca quella giusta - ci resterà in mano, nascosta, per sempre.

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