24.11.07

Una volta qui era tutta campagna

Gli inverni erano inverni, le primavere primavere.
I cani erano cani, i gatti erano gatti.
Nube è un cane: sempre attaccata alle caviglie, leggo e si sdraia sul libro, scrivo e morde la penna, sono qui e cammina sulla tastiera, sempre con un topo in bocca che le devo tirare e lei puntualmente mi riporta. Gatto da riporto, come dice Clara. Sempre sul mio ombelico.
Una volta qui era tutta campagna.
E lo è ancora, come dice Mazzacurati in La giusta distanza. Film sul quale sospendo il giudizio: cose belle e cose meno. Grande fotografia che apre e chiude, un po' di banalità, un po' di bellezza, come dice petunias' nel suo blog, la magia del Po che la fa da padrone.
Se non ci fosse stato, tra un Mazzacurati e l'altro, Centochiodi, ne avrei parlato meglio. Ma Centochiodi resta, nel raccontare la poesia di quel mood, inarrivabile, Raz Degan a parte.
Prendetevi tutto il buonumore di Walking my baby back home, soprattutto nella voce di Nat King Cole e fatene il miglior uso possibile.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

parliamone. quali sarebbero le banalità?

Anonimo ha detto...

Non ho visto Centochiodi, per cui faccio eccezione. Anch'io mi chiedo quali possano essere le banalità (nel senso: quali raccontate male al punto, da inficiare in qualche modo il film). A me il film è parso il più bello tra gli italiani, quest'anno. Il migliore tra quelli di Mazzacurati.
Maramaus

jules ha detto...

no no no, ma il Po di mazzacurati è un Po diverso da quello di olmi.
il Po di olmi è metaforico, simbolico in ogni filo d'erba, in ogni ondina del fiume. quello di mazzacurati invece è reale, è il Po di oggi; l'unico simbolo è la vecchia insegnante che impazzisce, un passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo (senza dare giudizi su vecchio e nuovo).
le banalità secondo me vengono fuori se si vuole leggere nel film la denuncia sociale - che non c'è e forse non ci voleva essere.
il giovane cronista che viene assunto al corriere alla fine non è banalità, è una piccola concessione al sogno.
secondo me, eh...

Anonimo ha detto...

il giovane cronista assunto al corriere più che una banalità è fumetto color pastello, un pò ingenuo, che comincia con il personaggio illustrato di bentivoglio, a cui sia chiaro, si perdona tutto, perfino la pinta di birra.
sono d'accordo con maramaus, almeno sui film italiani dell'anno.
nel senso della raffigurazione sociale del "paese reale", di cui la politicaglia si riempie le ganasce ma di cui coglie solo il prodotto finale. un pò gli estremi di partenza e arrivo del ciclo alimentare-metabolico, ecco.

elena petulia ha detto...

Benevuto, W ou le souvenir d'enfance (o sei sempre walter in uno dei tanti travestimenti?). Intanto un tè, che sto facendo anche per me.
Come ho detto a jules, già mi viene l'ansia a dovere dettagliare il banale, che ho messo lì così, da petulia. Era come di piccole sbavature che rovinavano per eccesso di zelo o di simpatia voluta.
Ecco, appunto partiamo da lì: la maestrina che offre il tè speciale. Le donne dietro la corriera, inverosimili, inquadrate due volte mentre l'autista aiuta lei in panne. Lui assunto al giornale. Una certa previdibilità del finale, con denuncia sociale abbozzata, come a giocare con gli scogli verso i quali le onde del pensiero inevitabilmente ti portano.
Sul migliore italiano dell'anno, ci devo pensare. Detto così, non me ne ricordo molti. Ma L'amico di famiglia era di quest'anno? Se sì, non c'è storia. E poi Olmi, Olmi.